Il silenzio di Dio

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view post Posted on 25/3/2021, 22:50
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“Dio lo si conosce nel suo silenzio”

Nel passare accanto a un cieco di nascita, gli apostoli fanno una domanda che mette in evidenza un modo di pensare allora molto comune: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?» (Gv 9, 1). Anche se oggi sarebbe strano sentir parlare in questi termini, in realtà la domanda non è tanto lontana da una mentalità odierna, secondo la quale la sofferenza, di qualunque tipo essa sia, è vista come dovuta a un destino cieco per il quale non c’è posto se non nella rassegnazione, una volta falliti i tentativi di annullarla. Gesù corregge gli apostoli: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9, 3). Dio a volte rimane in silenzio, apparentemente inattivo e indifferente alla nostra sorte, perché vuole farsi strada nella nostra anima. Soltanto così, per esempio, s’intuisce che permetta la sofferenza di san Giuseppe, perplesso davanti all’inattesa maternità della Madonna (cfr. Mt 1, 18-20), avendo egli «programmato» le cose in modo diverso. Dio stava preparando Giuseppe per qualcosa di grande. Egli «non turba mai la gioia dei suoi figli, se non è per prepararli a una gioia più sicura e più grande»[5].

Sant’Ignazio di Antiochia scriveva che «chi ha compreso le parole del Signore, comprende il suo silenzio, perché il Signore lo si conosce nel suo silenzio»[6]. Spesso il silenzio di Dio è per l’uomo il «luogo», la possibilità e la premessa per ascoltare Dio, invece di ascoltare soltanto se stesso. Senza la voce silenziosa di Dio nell’orazione, «l’io umano finisce per chiudersi in se stesso, e la coscienza, che dovrebbe essere eco della voce di Dio, rischia di ridursi a uno specchio dell’io, così che il colloquio interiore diventa un monologo dando adito a mille auto-giustificazioni»[7]. A pensarci bene, se Dio parlasse e intervenisse continuamente nella nostra vita per risolvere i problemi, dovremmo ammetteredi banalizzare la sua presenza. Non finiremmo, come i due figli della parabola (cfr. Lc 15, 11-32), preferendo il nostro tornaconto alla gioia di vivere con Lui?

«Il silenzio è capace di scavare uno spazio interiore nel profondo di noi stessi, per farvi abitare Dio, perché la sua Parola rimanga in noi, perché l’amore per Lui si radichi nella nostra mente e nel nostro cuore, e animi la nostra vita»[8]. Con la ricerca, con l’orazione fiduciosa pur nelle difficoltà, l’uomo si libera della sua auto-sufficienza; mette in movimento le sue risorse interiori; vede come si fortificano i rapporti di comunione con gli altri. Il silenzio di Dio, il fatto che non intervenga sempre immediatamente per risolvere le cose nel modo in cui noi vorremmo, risveglia il dinamismo della libertà umana; chiama l’uomo a farsi carico della propria vita o di quella degli altri, e delle proprie necessità concrete. Per questo la fede è «la forza, che in silenzio e senza clamori cambia il mondo e lo trasforma nel Regno di Dio, ed espressione della fede è la preghiera [...]. Dio non può cambiare le cose senza la nostra conversione, e la nostra vera conversione inizia con il "grido" dell’anima, che implora perdono e salvezza»[9].

Nell’insegnamento di Gesù, l’orazione appare un dialogo tra l’uomo come figlio e il Padre del Cielo, nel quale la domanda occupa un posto molto importante (cfr. Lc 11, 5-11; Mt 7, 7-11). Il bambino sa che suo Padre lo ascolta sempre, ma ciò che gli è assicurato non è tanto una sorta di uscita dalla sofferenza o dalla malattia, quanto il dono dello Spirito Santo (Lc 11, 13). La risposta con la quale Dio viene sempre in aiuto dell’uomo è il Donodello Spirito-Amore. Questo può non sembrarci un granché, ma è un dono molto più prezioso e fondamentale di qualunque soluzione terrena dei problemi. È un dono che dev’essere accettato nella fede filiale, ma che non elimina la necessità dello sforzo umano per affrontare le difficoltà. Con Dio le «valli oscure» che a volte dobbiamo attraversare non si illuminano automaticamente; continuiamo a camminare, magari timorosi, ma con un timore fiducioso: «Non temo alcun male, perché Tu sei con me» (Sal 23, 4).

Questo modo di fare di Dio, che risveglia la decisione e la fiducia dell’uomo, si può riconoscere nel modo in cui Dio ha compiuto la sua Rivelazione nella storia. Possiamo pensare alla storia di Abraham, che lascia il suo paese e si mette in cammino verso una terra sconosciuta; confidando nella promessa divina, senza sapere dove Dio lo conduce (cfr. Gn 12, 1-4); o alla fiducia del Popolo di Israele nella salvezza di Dio, anche quando tutte le speranze umane sembrano essere tramontate (cfr. Est 4, 17a-17k); o alla fuga serena della Sacra Famiglia in Egitto (cfr. Mt 2, 13-15) quando Dio sembra piegarsi ai capricci di un monarca retrogrado... In questo senso, pensare che la fede era più semplice per i testimoni della vita di Gesù non corrisponde alla realtà, perché neppure a questi testimoni è stata risparmiata la serietà della decisione di credere o no a Lui, di riconoscere in Lui la presenza e l’azione di Dio[10]. Numerosi sono i passi del Nuovo Testamento nei quali si vede con chiarezza che tale decisione non era scontata[11].

Ieri come oggi, malgrado la Rivelazione di Dio offra autentici segni di credibilità, il velo dell’inaccessibilità di Dio nonè completamente eliminato; i suoi silenzi continuano a sfidare l’uomo. «L'esistenza umana è un cammino di fede e, come tale, procede più nella penombra che in piena luce, non senza momenti di oscurità e anche di buio fitto. Finché siamo quaggiù, il nostro rapporto con Dio avviene più nell'ascolto che nella visione»[12]. Questo non è solo dovuto al fatto che Dio è sempre più grande della nostra intelligenza, ma anche alla logica di chiamata e risposta, di dono e compito, con la quale Egli vuole condurre la nostra storia: quella di tutti e quella personale di ciascuno. In fin dei conti, dunque, stanno in una relazione reciproca il modo di rivelarsi di Dio e la libertà che abbiamo in quanto siamo sua immagine. La Rivelazione di Dio rimane in un chiaroscuro che permette la libertà di scegliere di aprirci a Lui o di rimanere chiusi nella nostra autosufficienza. Dio è «un Re dal cuore di carne, come il nostro, che pur essendo l’autore dell’universo e di ogni singola creatura, non impone il suo dominio con prepotenza, ma viene come un poverello a chiedere un po’ d’amore, mostrandoci, in silenzio, le sue mani piagate»[13].

La nube del silenzio

Con la sua preghiera sulla Croce - «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46) – Gesù «fa suo quel grido dell’umanità che soffre per l’apparente assenza di Dio e dirige questo grido al cuore del Padre. Pregando così in quest’ultima solitudine, insieme a tutta l’umanità, ci apre il cuore di Dio»[14]. In effetti, il salmo con il quale Gesù grida al Padre dà adito, tra i lamenti, a una grande prospettiva di speranza (cfr. Sal 22, 20-32)[15]; una prospettiva che Egli ha davanti agli occhi, anche in piena agonia. «Nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46), dice al Padre prima di spirare. Gesù sa che la donazione della sua vitanon cade nel vuoto, ma cambia la storia per sempre, benché sembra che il male e la morte abbiano l’ultima parola. Il suo silenzio sulla Croce ha una forza maggiore delle grida di quelli che lo condannano. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5).

«La fede significa anche credere in Lui, credere che veramente ci ama, che è vivo, che è capace di intervenire misteriosamente, che non ci abbandona, che trae il bene dal male con la sua potenza e con la sua infinita creatività. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia [...], che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là»[16]. Con i suoi silenzi, Dio fa crescere la fede e la speranza dei suoi: le fa nuove, e con loro fa «nuove tutte le cose». A ciascuno e a ciascuna tocca rispondere al silenzio soave di Dio con un silenzio attento, un silenzio che ascolta, per scoprire «come misteriosamente opera il Signore» nel nostro cuore, «e qual è la nube, [...] lo stile dello Spirito Santo per coprire il nostro mistero. Questa nube in noi, nella nostra vita, si chiama silenzio. Il silenzio è proprio la nube che copre il mistero del nostro rapporto col Signore, della nostra santità e dei nostri peccati»[17].

Marco Vanzini – Carlos Ayxelá

 
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