BEATO ANTONIO FRANCO

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sorellaprovvidenza
view post Posted on 3/9/2013, 12:23 by: sorellaprovvidenza
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2 SETTEMBRE 2013 BEATIFICAZIONE

Beato Antonio Franco (1585-1626)

Omelia[1]

Angelo Card. Amato, SDB




1. Oggi la chiesa di Messina è in festa per la beatificazione del Venerabile Antonio Franco, Prelato ordinario di Santa Lucia del Mela, vissuto tra il 1585 e il 1626. Si tratta di un sacerdote cosiddetto tridentino, perché modellato sull’esempio di San Carlo Borromeo, pastore interamente dedito alla cura dei fedeli, alla loro istruzione e soprattutto alla loro edificazione, col buon esempio di una vita santa.
C’è da notare che la diffusa fama di santità del nostro Beato è giunta intatta e viva fino a noi. Ne sono testimonianza sia il titolo spontaneo di beato, che la devozione popolare gli ha attribuito da sempre e che oggi Papa Francesco riconosce ufficialmente; sia la venerazione del suo corpo in una preziosa urna di cristallo, privilegio davvero eccezionale, perché riservato solo ai beati e ai santi; sia, infine, la celebrazione di una messa, il 2 settembre, anniversario della morte, considerata in loco quasi festa di precetto e segnata dalla partecipazione plebiscitaria dei fedeli.[2]
C’è da aggiungere che il processo di beatificazione, iniziato a poco più di dieci anni dalla morte del nostro Beato, ha subíto ben sette interruzioni (dal 1637 al 1932) e si è concluso felicemente solo in questi ultimissimi anni con i decreti sull’eroicità delle virtù nel 2011 e sul miracolo nel 2012.

2. Antonio Franco visse solo 41 anni, sufficienti, però, per raggiungere le vette della santità. Nacque a Napoli il 26 settembre 1585 dal nobile Orlando Franco e dalla baronessa Anna Francesca Pisana. Terzo di sei figli, il giovane cresceva pio e ben educato. Studiò diritto canonico e civile a Napoli, conseguendo il diploma di laurea in Utroque Jure a soli sedici anni e otto mesi (previa dispensa dall’età). Ma non volle esercitare la sua professione di avvocato, perché nei tribunali spesso la giustizia viene mortificata: «parlano più i codici dell’interesse, i paragrafi degli ori e i digesti delle affezioni che le bilance d’Astrea [dea mitologica della giustizia]».[3] Seguì quindi la vocazione sacerdotale e a 17 anni era già chierico.
Dopo un anno di permanenza a Roma si recò in Spagna. Ordinato sacerdote, dal 1611 al 1616 fu Cappellano reale alla corte del Re Filippo III. Nel 1616 il sovrano lo nominò Abate e Prelato ordinario della Prelatura Nullius di S. Lucia del Mela, in Sicilia, con gli stessi privilegi episcopali del suo predecessore. A quel tempo la prelatura aveva circa 4200 abitanti, quasi tutti contadini e pastori. Nel governo di questa Prelatura, unita alla diocesi di Messina solo dal 1986, il Servo di Dio si distinse per la sua sapiente azione pastorale, migliorando la vita religiosa del popolo e del clero.
Ancora vivente, Mons. Antonio Franco era venerato per la sua vita santa e per la sua fama di taumaturgo, con interventi prodigiosi a favore degli ammalati e dei contadini, che chiedevano la pioggia per i loro campi o l’allontanamento delle intemperie dai loro raccolti.
Morì in odore di santità, il 2 settembre 1626, stroncato dalle penitenze e dalle continue astinenze.

3. Un Beato si distingue da tutti noi per l’eroicità delle sue virtù e cioè per l’eccellenza della sua vita di fede, di speranza e di carità. La sua fede si manifestava nello studio, nella meditazione e nell’assimilazione della Parola di Dio; nella preghiera continua (diceva: oportet semper orare et numquam deficere); nella celebrazione e nell’adorazione dell’Eucaristia; nella filiale devozione alla Madonna; nell’impegno per la catechesi e per l’istruzione religiosa del popolo.
La sua eroica speranza è testimoniata dal distacco dalle realtà terrene, dal mondo e dalle sue attrattive e dall’orientamente costante alle realtà celesti, alle cose di lassù, tenendo presente il detto della Scrittura: «non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus» (non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura: Eb 13,14).
Fede e speranza erano alimentate dalla sua eroica carità. Il biografo Melchiorre Mannamo scrive: «Ardeva egli tanto di carità che né in sé né negli altri voleva un’azione, che potesse essere censurata alla prova dell’amore».[4] E aggiunge che il nostro Beato puniva severamente ogni parola che non fosse modesta, ogni gesto che non fosse purificato dalla fiamma della carità per diventare oro pregiato di altissima caratura.
Il suo cuore si accendeva nella celebrazione della Messa e nella comunione eucaristica. Era proverbiale la sua magnanimità. Mandava il suo cappellano in giro per la città con grosse elemosine in soccorso del prossimo bisognoso, soprattutto delle giovani da marito, alle quali provvedeva con una congrua dote. Non aveva limiti nel dare. Dava secondo il bisogno, dava tanto da ridursi spesso a essere più povero dei poveri. Questa sua carità fu da lui esercitata anche verso gli ammalati, che visitava spesso e al cui capezzale accorreva anche di notte per prepararli all’ultimo passo.[5] A ragione la liturgia della parola applica al nostro Beato l’esultanza del profeta Isaia: «Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messagero di buone notizie, che annuncia la pace, che è araldo di notizie liete, che annuncia la salvezza» (Is 52,7).

4. Il vangelo odierno parla di Gesù buon pastore, che conosce le sue pecore, le chiama per nome, ne ha cura e le protegge (Gv 10,11-16). In filigrana noi vediamo in questa immagine la figura del Beato Antonio Franco.
Per questo un’ultima considerazione la riserviamo alla sua carità pastorale. Per un vescovo non è sufficiente essere personalmente santo, bisogna anche che egli educhi i suoi fedeli ad avere costumi onesti, pii, evangelici.
Il nostro Beato spese gli ultimi anni della sua vita proprio alla formazione del popolo di Dio, alla cui santificazione contribuì con i sinodi diocesani annuali, con le ammonizioni emesse con prudenza e avvedutezza, con le solenni feste religiose, con la preparazione e la frequenza ai sacramenti, con le visite alle chiese, ai monasteri, agli ospedali, alle confraternite, con l’istruzione civile e religiosa dei piccoli, con l’istituzione di scuole per i giovani e le giovani. Si interessò della promozione delle vocazioni, della formazione iniziale dei chierici e di quella permanente dei sacerdoti.
Si narra che con la sua solerzia e il suo zelo, alla sua morte lasciò in S. Lucia un clero di ben settanta presbiteri secolari e di ottanta chierici, senza tener conto dei sacerdoti regolari e dei religiosi: «fatto notevolissimo per una piccola diocesi».[6]
Per questo suo cuore pieno di misericordia e di bontà, Papa Francesco, nella sua lettera di Beatificazione, chiama il nostro Beato «pastore secondo il cuore di Cristo, zelante testimone della carità evangelica».

5. A noi, sacerdoti e laici, piccoli e grandi, spetta raccogliere la ricca eredità evangelica del Beato Antonio Franco, fatta di santità, di carità e di bontà, aprendoci con generosità alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La nostra fede e la nostra carità si traducano in opere buone, da compiere in famiglia, sul lavoro, nella società. I quattro secoli che ci separano da lui non ne attenuano il messaggio, ma anzi lo rafforzano. Anche oggi i poveri sono in mezzo a noi, e anche oggi il cristiano è chiamato dal Signore a essere buon samaritano per i feriti nel corpo e nello spirito, che invocano la nostra carità. Siamo generosi, come fu sommamente generoso il nostro Beato.


beato ant franco
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