SUOR JOSEFA MENENDEZ

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Augusto Alongi
view post Posted on 24/2/2011, 23:16




SUOR JOSEFA MENENDEZ
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Il 29 dicembre 1923 moriva santamente, a 33 anni, nella casa dei Feuillants a Poitiers, Josefa Menéndez, umile sorella coadiutrice della Società del Sacro Cuore, dopo solo quattro anni di vita religiosa trascorsi nel più oscuro nascondimento. Si sarebbe detto che il mondo dovesse ignorarla del tutto, e che non le sarebbe stato concesso se non il fuggevole ricordo delle consorelle; ma ecco che, dopo 40 anni dalla morte, il nome suo risuona nel mondo, e, dall'estremità dell'America, dell'Africa, dell'Asia, dell'Oceania, la si invoca con fervore e si ascolta con rispettoso raccoglimento il Messaggio che, per comando divino, ella doveva trasmettere agli uomini. Nel 1938, sotto il titolo «Invito all'Amore », l'Apostolato della Preghiera di Tolosa fece conoscere, nella parte sostanziale, il Messaggio del Cuore di Gesù, e l'allora Card. Pacelli, in una lettera di prefazione, si degnò raccomandare a tutti la lettura di quelle pagine. Dopo 5 anni venne chiesta, con insistenza, la biografia completa di Sorella Josefa. Si voleva conoscere, in tutti i particolari, una vita tanto umile e meravigliosa, svoltasi in una cerchia oscura e ristretta, che faceva ancor più risaltare la potenza dell'azione divina. La seconda edizione, molto completa, sembra rispondere a tali desideri. Fu compilata sulle note stesse tracciate per obbedienza, giorno per giorno, da Sorella Josefa, note che, controllate dai testimoni della vita di lei - la Superiora e l'Assistente della Casa di Poitiers, e il Rev. Padre Boyer O. P., suo direttore, - offrono piena garanzia di veridicità. Senza dubbio, si aprirà il volume con curiosità, lo si scorrerà con commossa ammirazione e lo si chiuderà risoluti a diventar migliori e ad amare una buona volta quel Dio che manifesta per le sue creature un amore sconfinato. Tutto in esso parla della prodigiosa provvidenza del Cuore divino per l'uomo. Già nella S. Scrittura, soprattutto nei Salmi, ci si presenta Iddio intento a vigilare sulle creature umane, quasi scrutasse ad una ad una le loro azioni ed i loro minimi gesti di adorazione. Inclinato, fin dall'inizio del mondo, con paterno amore, sui figli ribelli, parla loro con la voce dei prodigi e delle profezie, fino al giorno in cui incarnatosi Egli stesso nel seno di Maria Vergine, assume la nostra umanità e viene a dire agli uomini, con lingua umana, quant'è infinito l'amore del suo Cuore. Gesù Verbo incarnato, trasmise agli uomini nella sua integrità il Messaggio ricevuto dal Padre: «Omnia quaecumque audivi a Patre meo, nota feci vobis» (Io., XV, 15). Niente potrà essere aggiunto a ciò che disse Gesù e, alla morte di S. Giovanni, ultimo degli Apostoli, la rivelazione divina fu chiusa e sigillata. Nel corso dei secoli non si potrà fare altro che commentarla, ma è un tesoro senza fondo, e gli uomini, generalmente così disattenti e superficiali in fatto di scienza religiosa, con difficoltà sanno penetrare tutta la profondità del Vangelo. Perciò, come altra volta nell'antica legge Dio inviava i profeti a ravvivare la fede e la speranza del popolo eletto, così Cristo, di tempo in tempo, nella legge nuova, suscita anime a cui affida la missione di spiegare agli uomini le sue autentiche parole, e di rivelarne la nascoste profondità. Nell'alba di Pasqua il divino Trionfatore incaricò Maddalena di portare agli Apostoli l'annunzio della sua resurrezione, e, poi nel corso dei secoli, sarà spesso a povere ed umili donne che Gesù chiederà di trasmettere al mondo i suoi divini voleri. Basta citare Santa Giuliana de Montcornillon, ispirata da Dio a fare istituire nella Chiesa la festa del Corpus Domini ed a ravvivare il culto eucaristico; S. Margherita Maria che ebbe l'insigne missione di affermare nel mondo la devozione al Cuore di Gesù con ardore nuovo e con concetto di più alta portata; S. Teresa del Bambin Gesù che ricordò agli uomini, immemori, il merito ed il valore dell'infanzia spirituale. Così è stato per Sorella Josefa. Le tre prime, con la canonizzazione hanno già ricevuto dalla Chiesa il riconoscimento ufficiale della loro missione; Sorella Josefa, che non ha ricevuto ancora questo onore, aspettando d'essere loro sorella nella gloria, è loro sorella nella grazia dei privilegi, essendosi Dio compiaciuto di confermare la testimonianza di lei. Egli, che tratta le sue creature col massimo rispetto «cum magna reverentia disponis nos» (Sap., 12, 18) si riserba il potere di contrassegnare i suoi inviati, affinché siano riconosciuti come portavoce della divina parola. Le sue vie non sono le nostre vie, né i suoi pensieri i nostri pensieri; e per mostrare più chiaramente che tutto viene da lui, soltanto da lui, sceglie deboli strumenti, umanamente disadatti ad opere grandi, ma fa trionfare la sua forza nella loro debolezza. «Non ha cercato, dice San Paolo, per stabilire la Sua Chiesa, né i sapienti, né i grandi del mondo». Si sarebbe potuto attribuire la rapida diffusione del Cristianesimo alla loro alta intelligenza o al loro prestigio. Scelse invece degli ignoranti, dei poveri, appartenenti al popolo minuto, e ne formò dei vasi di elezione. Affinché poi la grandezza della missione non li affascinasse e li tentasse di orgoglio, li collocò continuamente in faccia al loro nulla, all'impotenza e alla debolezza del loro essere. I doni divini trovano sicura custodia solo. nelle anime veramente umili. Questa è la via della Provvidenza. Sul nulla Dio eleva la sua gloria. «Se avessi potuto trovare una più misera di te, disse a S. Margherita Maria, avrei scelto lei...». Sorella Josefa intenderà spesso le medesime parole: «Se avessi potuto incontrare una creatura più misera di te, avrei fissato su lei il mio sguardo d'amore, e per suo mezzo avrei manifestato i desideri del mio Cuore. Non avendola trovata, ho scelto te» (7 giugno 1923). E di lì a poco aggiungerà: «Riguardo a te, ti ho scelta come un essere inutile, sprovvisto di tutto, affinché sia proprio Io, Colui che parla, che chiede, che agisce» (12 giugno 1923). Nulla pareva designare Josefa ad una simile missione. I ritardi che si erano frapposti all'attuazione della sua vocazione e che avrebbero potuto far dubitare, a prima vista, della sua forza di volontà, l'umile posto occupato nel suo Istituto, la condizione di semplice novizia, l'ombra in cui si trovava avvolta sia per il suo amore alla vita nascosta che per l'abituale difficoltà di esprimersi in francese, sembravano ostacoli insuperabili. Ed era, invece, proprio quello il contrassegno divino. L'umile, oscura novizia che, per l'eccessiva sensibilità era apparsa tanto fragile all'inizio della vita religiosa, divenne poi di una forza invincibile. Nelle abbaglianti rivelazioni divine saprà rifugiarsi nel suo nulla e tanto più si abbasserà quanto più Gesù si accosterà a lei. Nonostante l'evidenza dell'azione di Dio, Josefa temerà sempre di essere ingannata e d'ingannare gli altri. Le sue Superiore non avranno figlia più sottomessa, più docile, più rispettosa dell'autorità, più desiderosa di controllo, più pronta a sacrificarsi. Nella sua pietà, nell'aspetto, nel modo di fare, niente di esagerato, tutto appariva semplice e spontaneo. Il suo temperamento morale, perfettamente sano, aveva il senso della misura e dell'ordine. Il divino che agiva in lei e di cui sentiva, specialmente in certe ore, il peso e gli inesprimibili tormenti, non alterava affatto il suo interno equilibrio. Tutto ciò, unito all'eroica pazienza nel sopportare patimenti che oltrepassavano il limite delle sue forze, furono, per le sue Superiore, la migliore garanzia dell'azione di Dio. «Il segno lo darò in te». Sul principio, tanto la Superiora che il Direttore si mostrarono prudentemente riservati e diffidenti, ma infine dovettero arrendersi all'evidenza dei fatti, e credere alla Missione dell'umile Sorella.



LA MISSIONE DI JOSEFA

Nostro Signore gliela rivelò gradatamente. Più volte Egli le aveva detto che si sarebbe servito di lei «per realizzare i suoi disegni» (9 febbraio 1921) e «per salvare molte anime che gli erano costate tanto care» (15 ottobre 1920). Il 24 febbraio 1921, di sera, all'ora santa l'invito viene ripetuto in maniera più esplicita: «Il mondo non conosce la misericordia del mio Cuore, dice Gesù a Josefa. Voglio servirmi di te per farla conoscere... ti voglio apostola della mia bontà e della mia misericordia. T'insegnerò che cosa ciò significhi; tu dimenticati». E siccome Josefa esponeva i suoi timori: «Ama e non temere di nulla. Voglio ciò che tu non vuoi, ma posso ciò che non potrai. A te non tocca scegliere, ma abbandonarti». L'11 giugno 1921, pochi giorni dopo la Festa del S. Cuore, in cui aveva ricevuto numerose grazie, Nostro Signore le disse: «Ricorda le mie parole e credile; l'unico desiderio del mio cuore è d'imprigionarti, possederti nel mio amore, fare della tua piccolezza e fragilità un canale di misericordia per molte anime che si salveranno per mezzo tuo. In avvenire ti rivelerò gli ardenti segreti del mio cuore che serviranno al bene di un gran numero di anime. Desidero che tu scriva e che tu conservi le mie parole; verranno lette quando tu sarai in cielo. Non sono i tuoi meriti che mi inclinano a servirmi di te, ma voglio che le anime vedano come la mia potenza adopera strumenti poveri e miseri». Siccome Josefa gli domandava se dovesse dire anche questo alla sua Superiora, Gesù rispose: «Scrivilo, lo si leggerà dopo la tua morte». Così il disegno di Dio va delineandosi sempre più. Egli sceglie Josefa come vittima per le anime, specialmente per le anime consacrate e, nello stesso tempo, la vuole banditrice al mondo del suo Messaggio di misericordia e di amore. La sua missione è duplice: deve essere vittima e messaggera; doppia missione strettamente collegata. Ella è vittima perché messaggera, e come messaggera deve essere vittima.



La Vittima

Una vittima è essenzialmente un'immolata e, generalmente un'espiatrice. Benché si possa, a rigore di termini, offrirsi a Dio come vittima, per dargli gloria e gioia coi sacrifici volontari, tuttavia il Signore suole mettere su questa via solo le anime scelte da Lui come mediatrici, destinate a soffrire ed espiare per altri, per attirare, con la loro immolazione, grazie di misericordia e di perdono e per coprire i loro peccati agli occhi della giustizia. Va da sé che non possiamo ingerirci, di propria iniziativa, in un'impresa simile. Per interporci tra Dio e la creatura, occorre il consenso divino. Che valore avrebbe l'intercessione di chi non è accetto al Signore? Già nell'Antico Testamento, non si poteva offrire a Dio alcuna vittima senza che avesse i requisiti richiesti, cioè perfetta, immacolata, offerta dal sacerdote secondo il rito prescritto. Il rito, rigorosamente osservato, indicava i sentimenti da cui dovevano essere animati l'offerente e l'immolatore. Nel Nuovo Testamento in cui il nuovo sacrificio ha sostituito gli antichi, Gesù è l'unico mediatore, l'unico Sacerdote, l'unica Vittima, e il suo sacrificio ha un valore, non più soltanto rappresentativo, ma reale e infinito. Se dunque Nostro Signore vuole associarsi altre vittime, esse dovranno immedesimarsi con lui, partecipare ai suoi sentimenti, e non potranno essere che persone umane, dotate d'intelligenza e di volontà. Da queste persone scelte da lui, essendo libere, Egli richiede l'accettazione volontaria. In tal modo esse si mettono nelle sue mani divine, perché Egli le tratti da padrone assoluto. Immedesimata nel Cristo e trasformata in lui, l'anima vittima esprime al Padre celeste i sentimenti di Gesù Cristo, e, davanti a Cristo, i sentimenti che dovrebbero avere coloro che essa rappresenta, tenendosi in stato di umiliazione, di penitenza e d'espiazione. In forza della sua identificazione con Gesù, ella parteciperà da vicino alla sua dolorosa passione, ne sosterrà i tormenti e le agonie in vario grado, e in maniere diverse, ma generalmente sovrumane. Se deve espiare per peccatori singolarmente designati, subirà le giuste pene dei loro delitti: malattie, prove di ogni sorta e, talora, anche le persecuzioni del demonio, di cui diviene zimbello. Ciò avvenne, in modo specialissimo, a Sorella Josefa. Ella è vittima per il desiderio espresso di Nostro Signore, e lo sarà in modo assoluto, non soltanto riguardo a tutto il suo essere, votato alla immolazione, ma altresì in tutte le modalità che comportano i diversi attributi di Dio, ai quali è distintamente offerta. S. Teresa del Bambino Gesù si offrì vittima dell'Amore misericordioso; Maria des Vallées, specialmente come vittima della divina Giustizia; S. Margherita Maria si offrì alla Giustizia ed alla Misericordia; e così avviene per Sorella Josefa, a cui Gesù affida questa missione in modo ancora più chiaro che non avesse fatto con S. Margherita Maria: «Tu sei la vittima del mio Amore» (2 ottobre 1922) (23 novembre 1920) «Del mio Amore e della mia Misericordia» (30 giugno 1921) «Io voglio che tu sia la vittima della divina Giustizia e il sollievo del mio Cuore» (9 novembre 1920). Per tutti questi titoli ella deve soffrire: «Tu soffri nell'anima e nel corpo, perché sei la vittima dell'Anima mia e del mio Corpo. E come non soffrirai nel tuo cuore, se ti ho scelta come vittima del Cuore mio?» (19 dicembre 1920). Come vittima del Cuore di Gesù, ella soffre per consolare questo Cuore ferito dall'ingratitudine umana. Come vittima d'amore e di misericordia, soffre perché l'Amore misericordioso di Gesù possa riempire di grazia i peccatori, da lui tanto amati. Come vittima della divina Giustizia, ella porta il carico delle riprovazioni divine ed espia per tante anime colpevoli che le saranno debitrici della loro salvezza. La sua missione la mette in stato di continua immolazione. Nostro Signore non glielo nasconde. «Ama, soffri, obbedisci, le disse, e così potrò realizzare in te i miei Disegni» (9 gennaio 1921). E il 12 giugno 1923 le conferma più chiaramente il suo pensiero: «Riguardo a te, vivrai nella più completa e profonda oscurità; ma perché sei la vittima che ho scelta, tu soffrirai e morirai inabissata nei patimenti. Non cercare né riposo, né sollievo, perché non ne troverai, avendo io così disposto. Ma il mio Amore ti sosterrà. Io non ti mancherò mai». Nostro Signore, che voleva farla tanto soffrire, le chiede precedentemente il consenso. Benché padrone assoluto, rispetta il libero arbitrio delle sue creature: «Vuoi tu?...» dice a Josefa e, vedendola perplessa, si allontana, lasciandola addolorata. Ma la Madre celeste le appare: «Non dimenticare che sei libera nel tuo amore» (3 marzo 1922). Parecchie volte ancora Josefa tenterà di sottrarsi, e, allontanandosi Gesù, ella dovrà chiamarlo con insistenza, per ottenere da lui ciò che le aveva prima proposto. Il più delle volte ella accetta con generosità. «Mi sono offerta al suo servizio, ella dirà, perché disponga di me a suo piacere». Fin d'allora Dio sa che può far di lei ciò che vuole e glielo ripete: «Sono il tuo Dio e mi appartieni, ti sei abbandonata a me e, ormai, tu non puoi più rifiutarmi nulla». «Se non ti abbandoni alla mia Volontà, che vuoi che Io faccia?» (21 aprile 1922). Josefa si abbandona. Come il Maestro divino, sarà una vittima volontariamente offerta. «Oblatus est quia ipse voluit». E, come Lui, sarà la vittima pura. Non si può espiare per gli altri se dobbiamo espiare per noi stessi. Dio aveva circondata Josefa, fin dalla nascita, di purezza e non si scorge, nella sua esistenza, alcuna colpa pienamente avvertita. Le sue più grandi infedeltà, come ella stessa diceva, consistevano nell'esitare di fronte ad una missione che la turbava, niente però che avesse potuto in alcun modo offuscarne il cuore e l’anima. Nostro Signore vigilava gelosamente. «Ti voglio talmente dimentica di te, e così abbandonata alla mia volontà che non ti permetterò la più piccola imperfezione senza avvertirtene» (21febbraio 1921). Più volte, quando le chiede di porsi in stato di vittima comincia col conferirle una grazia di totale purificazione. «Adesso, Josefa, soffri per me, ma prima trapasserò l'anima tua col dardo dell'amore che la purificherà, poiché occorre che tu sia molto pura come si cònviene alle mie vittime» (17 giugno 1923). Su tale candore, la sofferenza, che deve tormentarla, non trova opera purificatrice da compiere, e riverserà su altre anime i suoi frutti salutari. Come in tutte le vere vittime, le sofferenze di Josefa avranno un duplice carattere: - come vittima scelta da Cristo stesso per continuare e compiere la sua Opera redentrice, Josefa dovrà tenersi in intima unione con Cristo Redentore e partecipare alla sua Passione, sottostando alle Sue stesse sofferenze: - come vittima di espiazione per le colpe altrui, le sue sofferenze saranno in proporzione dei peccati da espiare:



a. Partecipazione alle sofferenze di Cristo.

Soltanto la Passione di Cristo è redentrice. Per essere purificati dai peccati e salvati, occorre necessariamente mettersi a contatto col Sangue dell'Agnello immacolato. Il grido di Gesù morente è un insistente invito per tutti gli uomini, che devono affrettarsi ad accorrere alle fonti del Salvatore da cui derivano tutte le grazie! Con le anime docili a questo invito, il contatto vivificatore si stabilisce subito. Molte, purtroppo, se ne tengono volontariamente distanti. Per raggiungerle, Cristo si servirà di altre anime destinate a divenire i canali delle sue Misericordie. Tralci più fecondi della mistica vigna, pieni di linfa vitale, perché in stretto contatto con il ceppo divino, tali anime si costituiscono solidali coi peccatori, responsabili delle loro colpe e conseguentemente unificate con essi come sono unficate col Cristo, di modo che in esse e per mezzo di esse si stabilisce il contatto della grazia: queste sono le anime vittime. Per compiere il loro ufficio, debbono essere immedesimate a Cristo Crocifisso, con il cuore palpitante all'unisono col Suo, mentre Egli ne farà sue viventi immagini, imprimendo nell'anima loro, nel cuore e nel corpo, la sua dolorosa Passione. In queste anime, Egli rinnoverà tutti i suoi misteri dolorosi; come lui, saranno contraddette, perseguitate, umiliate, flagellate, crocifisse; e, ciò che gli uomini non faranno, lo compirà Dio stesso con misteriosi dolori, agonie interiori e stimmate, si da renderle veri crocifissi viventi. Si comprende facilmente quale potenza di intercessione e di mediazione abbiano tali anime quando implorano la Misericordia divina per i fratelli erranti, quando, in esse e per esse, s'innalza al Padre il grido di quel sangue infinitamente più prezioso di quello di Abele. Tuttavia in alcuni Santi, come per es. in S. Francesco d'Assisi sembra che la passione si fermi a loro, ed abbia come fine ultimo di renderli copie perfette del Crocifisso. In tal modo Dio risponde al loro amore ed alla loro devozione alla passione, facendoli partecipare fisicamente e moralmente ai dolori del Suo Figlio amatissimo. Per le anime espiatrici c'è di più: esse sono come espropriate a beneficio altrui; la Passione del Cristo, dopo di averle segnate col suo sigillo, passa da esse a compiere i suoi frutti di salvezza in altre anime per le quali esse espiano. Esse sono così le portatrici della grazia del Calvario, le corredentrici nel vero senso della parola. L'amore del prossimo le spinge, e la loro missione è assai diversa da quella delle altre anime. Mentre Dio si contenta per le altre di un amore che Lo contempla e che si ferma alla gloria in tal modo tributata alla Sua infinita perfezione, alle corredentrici che Lo contemplano, Egli scopre il suo immenso Amore per le anime ed il Suo dolore per la perdita dei peccatori. Tale visione quasi spezza il loro cuore, ed il desiderio di consolare Gesù non si limita più a protestarGli il loro amore, ma eccita il loro zelo, ed esse hanno bisogno di ricondurre a qualunque costo queste anime al Cristo, mentre Egli non manca da parte sua di eccitare sempre più il loro zelo. Comunica loro il suo ardente amore per le anime che esse vengono ad amare col suo stesso Cuore. Questo amore dà loro una forza sovrumana di sopportazione che Josefa descrive assai bene: «Da una ventina di giorni l'anima mia si sente attratta a soffrire. In passato tutto mi faceva paura e quando Gesù mi diceva di avermi scelta per vittima, provavo un fremito in tutto l'essere; ora è l'opposto. A giorni soffro tanto che se EgIi non mi sostenesse non potrei vivere, perché patisco in tutte le membra. Nonostante ciò l'anima mia vorrebbe sopportare ancora di più per Lui, benché la natura opponga talvolta resistenza. Quando comincio a provare questi dolori tremo e indietreggio istintivamente, ma nella volontà c 'e' una forza che accetta, che vuole, che desidera soffrire di più. Se in quel momento mi si offrisse o di andare in cielo, o di continuare a patire, preferirei mille volte restare in terra per consolare il Cuore divino, benché arda dal desiderio di unirmi a lui. Capisco che è Gesù che mi ha cambiata così...» (30 giugno 1921). Josefa ha ragione: quella forza non è sua: ma viene da Gesù, anzi è la stessa forza di Gesù che la investe, mentre Egli le comunica i Suoi sentimenti, desideri e dolori. «Siccome tu sei pronta a soffrire, Egli le dice (19 dicembre 1920), soffriamo insieme». E le dà la Sua Croce. «Gesù venne, con la Croce in spalla, e la mise sulla mia» (18 luglio 1920). «Vengo a portarti la mia Croce, perché voglio deporne il peso su te» (26 luglio 1921). «Voglio che tu sia il mio cireneo: Mi aiuterai a portare la Croce» (23 febbraio 1922). «La mia Croce sia la tua croce» (30 marzo 1923). Quante volte le depone sulle spalle la Croce, ed ella la tiene per ore, per giornate, per notti intere! Le affida anche la corona di spine, che Josefa porta durante lunghi periodi di tempo, nei quali, come Lui, non sa dove riposare il capo, dolorosamente trafitto. «Ti lascerò la mia corona, e non lagnarti di questa sofferenza!... è una partecipazione alla mia» (26 novembre 1920). «Io stesso ti cingerò la fronte con la mia corona!» (17 giugno 1923). Altre volte le fa sentire la trafittura del Suo Costato: «Questo dolore, le dice la Madre celeste, il 20 giugno 1921, è una scintilla che esce dal Cuore di mio Figlio; quando lo sentirai più forte, è segno che allora un'anima Lo ferisce profondamente». Vuole anche farle sentire il dolore dei chiodi nelle mani e nei piedi. «Sto per darti un'altra prova di Amore: oggi parteciperai al dolore dei miei chiodi» (16 marzo 1923). La vuole strettamente associata alle sofferenze dell'Anima Sua e del Suo Cuore. «Tutti i venerdì, e particolarmente i primi venerdì del mese, ti farò partecipare all'amarezza del mio Cuore e tu soffrirai in maniera speciale i tormenti della mia Passione» (4 febbraio 1921). Il 10 marzo 1922 Egli le appare col volto insanguinato: «Accostati a me, le dice, riposa sul mio Cuore e prendi parte alla sua amarezza...». «Mi fece avvicinare al suo Cuore e l'anima mia fu ricolma di tale angoscia e di tale amarezza che non posso spiegarlo». E deve soffrire per gli altri come ha sofferto Gesù. «Voglio che tutto il tuo essere soffra per guadagnarmi delle anime» (21 dicembre 1920). «C'è un'anima che Mi offende: non temere di sentirti sgomenta perché voglio che tu partecipi all'agonia del mio Cuore» (13 settembre 1921). «Porta la mia Croce fino a che quell'anima conosca la verità» (24 marzo 1923). «Prendi la mia Croce, i miei chiodi, la mia corona, mentre Io vado a cercare le anime» (17 giugno 1923). Bastano per ora questi pochi esempi, che sono abbondantissimi nel corso del libro. Come vittima espiatrice, Josefa partecipa a tutti i dolori di Gesù. Nelle sue membra, come nel suo cuore, ella porta l'impronta dell'indicibile Passione di lui. Immedesimata con Gesù Crocifisso, torturata dalle sue angosce, consumata dai suoi desideri, bruciata dalla sua sete di anime, essa si offre a tutte le riparazioni ed a tutte le espiazioni.



b. Le persecuzioni diaboliche.

Dio permette che, da ogni parte si abbattano su lei le prove più dure. Se le furono risparmiate quelle provenienti dai mali fisici (ma chi può saperlo, abituata com'era a non lagnarsi mai?) e quelle derivanti dagli uomini (la sua vita familiare e quella religiosa potrebbero apparire esenti dalle terribili contraddizioni toccate a S. Margherita Maria), per altro, ella, più di altre sante, fu data in braccio al furore di Satana. Non c'è da stupirsene. Poche vite di Santi appaiono libere dalla persecuzione del maligno. L'avversario personale di Cristo, non potendo giungere a colpirLo nella gloria del cielo, si adopera, con tutte le risorse della sua potente attività, ad ostacolare l'opera divina nel mondo. Più un'anima è amata da Cristo, più Satana si accanisce per perderla, certo nell'orgoglioso intento di accrescere il numero dei suoi sudditi sventurati, ma soprattutto per strappare a Cristo delle anime che Egli ama e ha riscattate col suo sangue prezioso. Satana perciò prende di mira specialmente i Santi e i consacrati che vuole contaminare, sedurre e disonorare. Più di tutte detesta le anime corredentrici e perciò Josefa gli era odiosa in modo particolare. Per amore di Gesù, essa aveva fatto gioiosamente i tre sacrifici che più costavano al suo cuore: la mamma, la sorella, la patria. Si era offerta per la salvezza dei peccatori e doveva strapparne molti dall'inferno; per questo, Satana le si drizzò contro e ne fece il suo zimbello. Dio gli lascia un potere maggiore sulle anime espiatrici, e ciò, forse, è inerente alla loro vocazione. Addossandosi i peccati altrui esse accettano di portarne le conseguenze. Coll'acconsentire al peccato, l'uomo, volente o nolente, ne abbia o meno coscienza, dà al demonio un gran potere di seduzione e di azione. In generale se ne accorge raramente, perché il demonio è sopraffino nel dissimulare per non inquietare l'anima. Rinforza le cattive tendenze e dietro di esse si nasconde per moltiplicare le occasioni di peccato ed assopire l'anima in una sonnolenza che porterà alla morte. Ma, quando un 'anima vittima si sostituisce ad un peccatore, il demonio urta con una volontà che gli si oppone ostinatamente, e, impotente a farla cadere, se ne vendica, sfogando su di lei quel potere stesso che aveva sul colpevole. Dio permette ciò, prima di tutto perché l'esistenza del demonio, da molti messa in dubbio, apparisca evidente. Satana esiste come esiste l'inferno che si vorrebbe dimenticare o seppellire nel silenzio; è un essere vivo e reale, la cui perversa natura si rivela, in modo speciale, di fronte alle anime sante; se è tanto crudele con esse, quantunque non possa andare al di là di un dato limite, che sarà con i dannati che tiene interamente sotto di sé? Inoltre Dio vuol confondere l'orgoglio dello spirito delle tenebre. Malgrado tutto il suo potere e il suo accanimento, non riporta vittoria sui Santi, anzi ne è pienamente sconfitto, con grande gloria dell'Altissimo. Così avvenne con Sorella Josefa. Il demonio cercherà d'ingannarla con tutti i mezzi trasformandosi in angelo di luce, e prendendo perfmo l'aspetto di Gesù Cristo stesso; ma, più spesso ancora, martirizzandola si sforzerà di farla deviare da quel cammino in cui gli strappa tante anime. In questa lotta a corpo a corpo, tra l'umana debolezza e la violenza satanica, Dio interviene per aumentare la resistenza eroica dell'umile sua vittima, e le comunica un energia invincibile, capace di superare qualsiasi tentazione e qualsiasi sofferenza. La forza diabolica s'infrangerà contro la fragilità di Josefa. Ella, il «nulla» e la «miseria», come la chiama Nostro Signore, con l'aiuto divino trionferà del «Forte armato». Ma molto dovrà sopportare. Già durante il suo postulato, il maligno l'assale con una grandine di colpi, giorno e notte, che le vengono inflitti da mano invisibile, specialmente nella preghiera e quando protesta di voler essere fedele ad ogni costo. Talora, viene strappata violentemente dalla cappella, o si trova nell'impossibilità di entrarvi. Altre volte le apparizioni del demonio si succedono sotto l'aspetto di un cane ripugnante, d'un serpente, o, ancora più terribili, in forma umana. Ben presto, nonostante l'assidua vigilanza delle Superiore, Josefa viene ripetutamente trasportata altrove. Sotto i loro occhi essa, ad un tratto, sparisce, e la si ritrova, parecchio tempo dopo, o nel solaio, o sotto qualche mobile, o in qualche luogo deserto. In loro presenza viene bruciata senza che il demonio appaia, e si vedono le vesti di Josefa in fiamme, e sul corpo i segni delle terribili scottature. Altre volte, e questo è accaduto raramente ad altri Santi, Dio permette che il demonio la faccia scendere viva nell'inferno. Laggiù trascorre lunghe ore, talora una intera notte, in indicibili angosce. Più di cento volte discende nell'abisso, e, ad ogni discesa, le sembra di esservi entrata per la prima volta e di esservi da secoli interi! Eccetto l'odio di Dio, ella ne subisce tutti i tormenti, tra cui non è il minimo quello di ascoltare le sterili confessioni dei dannati, le grida di odio, di dolore, di disperazione. Quando Josefa ne esce fuori, affranta e sfinita, ogni sofferenza per salvare le anime le appare ben poca cosa, e, nel tornare a contatto con la vita, il suo cuore non sa contenere la gioia di poter ancora amare! Il suo immenso amore la sostiene. Tuttavia, a volte la prova pesa estremamente su di lei. Come Gesù nell'orto, trascorre ore di amaro abbattimento e di angoscia. Testimone della perdita di tante anime, domanda a se stessa a che cosa servono le sue discese all'inferno e le atroci sofferenze che deve sostenervi. Ma presto si riprende e il coraggio non l'abbandona. La Madre celeste la soccorre: «Mentre tu soffri, l'azione del demonio su quell'anima è meno forte» (22 luglio 1921). «Tu soffri per riposare Gesù e ciò non basta per darti coraggio?» (12 luglio 1921). Nostro Signore stesso le rivela i tesori di riparazione e di espiazione contenuti nella prova cui la sottopone (6 ottobre e 5 novembre 1922). Dio le concede di vedere, nell'inferno le manifestazioni di rabbia del demonio, allorché gli sfuggono le anime che egli credeva di aver fatte sue, proprio quelle per le quali Josefa aveva espiato! Questi due pensieri, di consolare e riposare Gesù, e di conquistarGli delle anime, sostengono ed eccitano il suo coraggio. Quantunque abbia del demonio un orrore istintivo, perché ne conosce, a sue spese, la terribile potenza e malizia, mai il timore la distoglie dal proprio dovere. In un periodo della sua vita quasi ogni giorno il demonio la trasporta altrove, mentre si reca al suo ufficio; ella prevede quell'istante e ne trema, ma non indietreggia, e ogni giorno la trova decisa ad incamminarsi là, dove il suo ufficio la vuole, senza cedere alla paura. Tuttavia, attraverso questa eroica fedeltà, quello che ci appare più ammirabile è che Josefa, sotto l'azione dei suoi timori e talora delle sue ripugnanze, si stima sinceramente una creatura ingrata e infedele, ed è costantemente persuasa di non aver fatto nulla per il Signore. Dopo nottate di indicibili tormenti, disfatta, ma non abbattuta, ella riprende, all'alba, il consueto lavoro e non accetta alcuna esenzione dalla vita comune. Il fuoco del Cuore divino la brucia, e tutto ciò che ha dovuto subire nell'inferno, tutto ciò che le è dato come partecipazone alla sofferenze del Cristo invece di scoraggiarla e deprimerla, ravviva ed alimenta il suo ardore per la soffernza. Come già S. Margherita Maria, ella si immola per le anime religiose, per i sacerdoti, per i peccatori d'ogni specie. Docile al volere di Colui al quale si abbandona, non desidera che consolarLo, e si offre a tutti i martiri pur di conquistare delle anime, il più spesso ignote, ma che ama immensamente attraverso Gesù. Come dicevamo in principio, bisognava che ella fosse vittima per essere messaggera. Non ha così, tutti i titoli per essere ascoltata dagli uomini, colei che tanto per loro ha sofferto? E, conoscitrice profonda dell'infinito Amore del Cuore divino, non era forse designata, più di ogni altro, a trasmettere al mondo il essaggio dell'Amore e della Misericordia di Gesù?



IL MESSAGGIO

1. Sua sostanza

E’ davvero Messaggio d'Amore e di Misericordia. Non lo si trova per intero in nessuna parte del libro, ma lo si può ricostruire coi frammenti che appaiono quasi in ogni sua pagina. Ecco in breve il riassunto: a) Prima di tutto, il Cuore di Gesù e la sua eccessiva carità per gli uomini vi risaltano in modo singolare. Si può dire una nuova rivelazione del Sacro Cuore, che completa e perfeziona quella ricevuta da S. Margherita Maria. Dal 1675 sono passati più di due secoli; altre correnti di devozione percorsero la Chiesa, ed attualmente le anime si appassionano per il Corpo mistico di Cristo, la cui realtà risuona nell'intimo della coscienza cristiana. Si direbbe che la devozione al Sacro Cuore abbia fatto un passo indietro e sia ora meno compresa. Molti considerano la devozione al Sacro Cuore come una mutilazione alla devozione al Cristo totale, o come una devozione femminile, in cui il sentimento, o meglio la sentimentalità, ha troppa parte. Contro questa false opinioni Nostro Signore reagisce con forza. Egli presenta agli uomini il Suo Cuore, trafitto dalla lancia, Cuore amante e così poco amato, la cui ferita, rimasta aperta, grida a gran voce il Suo Amore. Amore desideroso di essere corrisposto, tanto più che il ricambio così giusto e naturale ch'Egli esige, è per gli uomini l'unico mezzo per essere felici quaggiù e raggiungere la felicità eterna. E senza questo mezzo non c'è per essi che il terribile inferno a cui vanno incontro. Il Cuore di Gesù si serve di Josefa per inviare al mondo il suo grande invito all'amore. b) Per attirare maggiormente gli uomini, manifesta loro, ed è questo ciò che fa la novità e la forza del Messaggio, la Sua infinita Misericordia. Tutti Egli ci ama individualmente, tali quali siamo, anche i più miserabili e i più peccatori. Chiede agli uomini non le qualità e le virtù, ma i loro peccati e le loro miserie; miserie e colpe, che invece di essere un ostacolo sono un motivo per accostarsi a Lui. Questo il regalo più accetto a Gesù, e altro non esige dai peccatori che un vero pentimento e una conversione per Suo Amore. Il Suo Cuore, impaziente nell'amare, aspetta il ritorno dei poveri traviati e promette un perdono totale. «Non è il peccato che ferisce maggiormente il mio Cuore, Egli dice , ma ciò che più lo strazia è che le anime, dopo averlo commesso, non vengono a rifugiarsi in me» (29 agosto 1922). Ciò che vuole, ciò che desidera ardentemente, è la fiducia nella sua Misericordia e Bontà infinite. c) Ai suoi consacrati, che Egli ama di un amore speciale, Gesù indirizza un invito a partecipare alla sua Vita redentrice. Vuole che siano i suoi intermediari per la salvezza delle anime e, perciò, a tutti chiede lo spirito di sacrificio nell'amore. Per lo più, non esige grandi sofferenze, ma insegna ai suoi eletti l'importanza delle azioni ordinarie, anche minime, compiute in unione con lui, in spirito di immolazione e di amore (30 novembre 1922, 2 dicembre 1922). Manifesta loro il valore dei più piccoli sacrifici, che conducono ad alta santità e, nello stesso tempo, giovano alla salvezza di molte anime (20 ottobre 1922). Ricorda loro quanto siano invece pericolosi i rilassamenti nella virtù, anche piccoli, che trascinano nella china fatale delle grandi infedeltà ed espongono le anime a precipitare nei castighi dell'inferno, ben più terribili per i privilegiati che per gli altri (3 agosto 1921, 12 dicembre 1922, 14, 15, 20 24 marzo 1923, 4 settembre 1922). Le anime consacrate riaccendano la loro confidenza nel Sacro Cuore di Gesù. «Poco mi importano le loro miserie; voglio far loro sapere ch'Io le amo con tenerezza raddoppiata allorché si gettano nel mio Cuore dopo le cadute e le debolezze. Io sempre perdono, e sempre amo». Ed aggiunge: «Non sai forse che più le anime sono miserabili e più attirano il mio Amore?» Ed insiste ancora: «Non intendo dire che un'amma, per il fatto stesso che è prescelta, non debba più cadere in difetti e venga liberata da ogni miseria. No, cadrà, e cadrà più volte. Ma se si umilia e riconosce il suo nulla, se si sforza di riparare le colpe con piccoli atti di generosità e di amore, se confida e si abbandona di nuovo al mio Cuore, mi glorificherà di più, e potrà far più bene alle anime che se non fosse mai caduta. Poco mi curo della miseria; quello che m'importa è l'amore» (20 ottobre 1922). Ciò che il Cuore divino desidera dai suoi è dunque l'umiltà, la fiducia e l'amore. d) A tutti, infine, fa udire l'insistente richiamo della Passione, presentata come segno del suo immenso Amore per gli uomini e come unica via di salvezza. Il Cuore di Gesù si manifesta sempre dolorante e appassionato e ci esorta e ci supplica in forza dei suoi patimenti indicibili. Quanto deve averci amato se ha accettato di soffrire tanto per noi! Quale orribile sventura quella di coloro che, per propria colpa, si sottraggono ad una simile redenzione! Col peccato l'uomo ha scavato tra sé e Dio un abisso incolmabile. Allora, tra Sé e l'uomo, Gesù ha posto la sua Passione. Viene a noi oltrepassando il nostro peccato e coprendolo col Suo Sangue. Il cammino verso Dio è stato dunque riaperto, ma bisogna traversare la Passione per riprendere contatto con Lui. Impossibile salvarci, senza prender parte, in qualche modo, alla Passione di Cristo. Il dilemma è netto: o la passione o l'inferno. Missione e ufficio dei consacrati è di immergersi nella Passione, penetrarla, e, con i loro sacrifici personali, comunicarne i frutti, infonderne l'efficacia nelle anime per le quali pregano ed espiano.



2. Sua opportunità

Un messaggio così insistente ci appare di una attualità singolare. Da ogni parte il peccato dilaga in modo spaventoso, e l'orgoglio umano, incurante di Dio, pretende trasformare la terra in un paradiso; non riesce che ridurla ad una anticamera dell'inferno, dove l'empietà e l'immoralità regnano sovrane, dove le passioni irrompono, scatenando guerre furiose in cui la maggioranza degli uomini soffre nella povertà e nell'oppressione, senza quel conforto che la fede sola può dare. Il Cuore divino si volge verso i figli miserabili, indica loro il cammino della felicità, della pace, e della salvezza. Questo messaggio è trasmesso ed è vissuto. Gesù ci istruisce, non soltanto con ciò che dice a Josefa, ma con ciò che opera in lei. I fatti colpiscono più della parole. Si vuol conoscere l'Amore divino per le anime? Si leggano le pagine dove essa nota i palpiti, che ha uditi, del Cuore di Gesù. «Ciascuno di questi palpiti, Egli le dice, è una chiamata ad un'anima» (26 ottobre 1920). Si può forse dubitare della realtà di questo Amore, quando lo si vede bruciare con le sue fiamme il cuore di Josefa, e renderla così intrepida, così forte nel soffrire per strappare le anime all'inferno? Si può dubitare dell'immensità di questo Amore, quando Josefa, che accetta di subire un martirio inesprimibile di cui constatiamo l'intensità, ci dice essere un nulla il suo amore, paragonato a quello di Gesù e la sua sofferenza un'ombra in confronto a quella della Passione? (28 ottobre 1920). Si può dubitare della bontà di questo Amore, quando scopriamo nella vita di Josefa l'immenso dolore del Cuore divino per la perdita delle anime e la gioia per il loro ravvedimento? (25 agosto 1920, 26 dicembre 1920, 34 agosto 1921, 29 luglio 1921, 3-12-25 settembre 1922). «Aiutami, - Egli le dice -, a rivelare il mio Cuore agli uomini. Ecco, voglio dir loro che invano cercano altrove quella felicità che soltanto in me possono trovare. Soffri e ama perché dobbiamo conquistare le anime» (13 giugno 1923). Nell'amore che Josefa nutriva così veemente per le anime, come non scorgere l'Amore infinito del Cuore di Dio, che solo poteva ispirarlo? Nello stesso modo Gesù manifesta la sua illimitata Misericordia per mezzo della vita di Josefa. «Io t'amerò, - le dice l'8 giugno 1923, festa del Sacro Cuore -, e le anime comprenderanno il mio Amore dall'Amore che ho per te». «Io ti perdonerò e le anime conosceranno la mia Misericordia dai perdoni copiosi che ti concederò». Un giorno giunse fino a dire: «La mia è una follia d'Amore per le anime» (27 settembre 1922). Questa espressione può sorprendere, ma anche nella Sacra Scrittura si legge: «Se una madre può dimenticare il suo figlioletto, Io non ti dimenticherò mai! Ecco che il tuo nome sta scritto nella mia mano» (Is., XLIX, 15, 16). «Dove sono i tuoi peccati? Li gettai in fondo al mare!» (Mich., VII, 19; Is., XXXVIII, 17). «Egli mi amò e si immolò per me!» (Gal, Il, 20). Non è tutto questo una follia? In quanto alla realtà dell'inferno, il Messaggio fu veramente vissuto da Josefa. Tutte le sofferenze della passione ch'ella subisce, le persecuzioni diaboliche e le sue discese nell'inferno, non hanno altro scopo che di strappare le anime alla perdizione e ricondurre i traviati sulla via della salvezza da cui essi si allontanano. Il dogma della Redenzione e della Comunione dei Santi viene così attuato. Come negare l'esistenza del demonio, dell'inferno, del purgatorio, e l'efficacia delle sofferenze proprie per gli altri, leggendo le commoventi pagine dove queste grandi realtà soprannaturali s'imprimono nell'anima e nella carne di Josefa? Niente di nuovo nella sostanza del Messaggio. Esso chiarisce solamente, in modo più impressionante e più chiaro, ciò che già sappiamo per fede. «Te lo ripeto ancora una volta: quello che ti dico adesso, non è niente di nuovo. Ma, come la fiamma ha bisogno di alimento per divampare, così le anime hanno bisogno di una nuova spinta per progredire e di nuovo calore per rianimarsi» (15 dicembre 1923). Com'è pieno di forza l'invito, trasmesso dall'umile Josefa!



3. Sua autenticità

Il Messaggio non consiste soltanto nelle parole affidate a Josefa, ma nell'intera vita di lei. La privilegiata del Cuore divino parla a noi soprattutto mediante la sua vita. Tutta la sua esistenza è una meravigliosa garanzia dell'azione di Dio in lei. Ella sola udì le parole di Nostro Signore, ella sola, per conseguenza, può testimoniare e la sua vita è una testimonianza della verità del Messaggio. E’ stata controllata, seguita da testimoni irrefutabili, che possono affermare e la virtù incontestabile dell'umile e oscura messaggera dell'amore infinito, e la realtà dei suoi stati soprannaturali di cui hanno avuto la prova palpabile. La virtù di Josefa fu riconosciuta da tutti nella cerchia in cui visse, non perché avesse qualche cosa di vistoso (Josefa fu sempre più imitabile che ammirevole), ma perché, a sua insaputa, esercitava un'influenza penetrante. Mai si notò in lei qualche segno di ricerca personale; appariva invece, in tutto il suo esterno, una grande mortificazione, un'obbedienza illimitata e una dolce pazienza, frutti di sincera umiltà. «Tu sei l'eco della mia voce» (10 dicembre 1922) le disse una volta Nostro Signore e, infatti, in lei non c'è che risonanza divina. Una virtù così alta e così semplice, basterebbe da sola a convincerci dell'azione vera e profonda di Dio, a provare l'autenticità dell'indole soprannaturale derivante da Dio. Tuttavia, le Superiore e il direttore ritennero opportuno rimanere volontariamente un po' di tempo incerti e dubbiosi, e dobbiamo esser loro grati di questo prudente riserbo, di questa diffidenza voluta che aspettava le prove. Candida e leale com'era, certo ella non avrebbe voluto ingannarli; ma potevano chiedersi se la sua immaginazione e il suo cuore non la facessero cadere nell'illusione, come accade non raramente anche alle anime pie e sincere. Peraltro, ed era questo ottimo segno, Josefa viveva continuamente nel timore d'ingannarsi, sempre pronta, ad un cenno della Superiora, a ritenere come illusioni ciò che provava. Niente di più caratteristico di questo fatto. A Roma, dove, per incarico di Nostro Signore, si era recata, per portare alla sua Reverendissima Madre Generale un messaggio concernente la Società del S. Cuore, ad un tratto, istigata dal demonio bugiardo, credette di essere caduta vittima della fantasmagoria di un sogno, e di non avere alcuna missione da trasmettere da parte di Dio. Senza esitare, né considerare il danno che ne verrebbe a lei nel giudizio delle sue Superiore, rivelò loro la sua angustia, la sua certezza di essersi illusa e le supplicò di non credere affatto a ciò che ella aveva loro comunicato. Questa sollecitudine così umile per la verità, in un momento tanto importante, è indizio sicuro della veracità di Josefa. Soltanto un 'anima eroicamente umile e dimentica di sé poteva agire in tal modo. E in tutti i suoi scritti risuona la stessa nota di verità. Per ordine di Nostro Signore e della Vergine santa, ella teneva le sue Superiore al corrente di tutto. «Tu devi scrivere» le aveva detto il Maestro divino, per assicurarsi così che nessuna delle sue parole andasse perduta (6 agosto 1922); ma anche per facilitare il controllo dei minimi fatti e parole di Josefa, e renderli più credibili agli occhi di tutti. Ora, in questi scritti, nulla c'è di inutile, di falso o anche semplicemente di equivoco, nulla che metta in risalto la personalità di lei o che possa indicare un'ombra di vanità: tutto è semplice, misurato, commovente, santo. I suoi stati soprannaturali non sfuggono a questo controllo: quando ella discende all'inferno, esce dalle estasi, le sue Madri le stanno vicine, sorvegliando attentamente il suo ritorno alla vita e notando le parole dette nel corso di quelle ore di emozione. Quando penetra nel purgatorio e di quelle anime penanti che invocano il suo aiuto rivela nome, data e luogo in cui morirono, tutti questi particolari, allorché sarà possibile verificarli, risultano sempre esatti. Così pure non possiamo dubitare dei rapimenti di Josefa compiuti dal demonio e avvenuti sotto gli occhi stessi delle sue Superiore, impotenti ad impedirli; e neppure delle visibili bruciature sulle sue carni che lasciarono tracce sugli indumenti di biancheria, che tuttora si conservano e appaiono bruciacchiati. Il fatto ancora più convincente è che tutto questo soprannaturale diabolico di natura da sovreccitare l'immaginazione, non turbava affatto l'intima calma di lei, né il suo pieno equilibrio, e che lo stesso soprannaturale divino, con i privilegi d'amore della Vergine santa e di Nostro Signore che avrebbero dovuto commuovere profondamente la sua così viva sensibilità, la lasciavano tranquilla, silenziosa, senza quel bisogno, pur così naturale all'anima, di comunicare ad altri la sua emozione. Le sue Madri sempre notarono l'estrema discrezione con cui comunicava i favori ricevuti, e di cui esse solo erano le confidenti. E, finalmente, le atrocità delle sofferenze, che avrebbero pur dovuto strapparle un grido invocante pietà, non facevano che eccitarla ad un desiderio più ardente di maggiormente soffrire per amore del Cuore di Gesù e per le anime da Lui tanto amate. Così il complesso degli scritti di Josefa concorda perfettamente con la vita di lei ed attesta in lei l'azione divina. Anche i fatti più strani assumono uno scopo ed un significato speciale. Ogni particolare, ogni rivelazione, ogni parola fa risaltare, con più forza, qualche verità dogmatica, c'introduce maggiormente nel Cuore di Gesù, nel Suo Amore, e c'induce a riflettere sul valore delle anime, sulla felicità del cielo, sull'irreparabile infelicità dei dannati. Tutto è grazia ed invito ad amare nella vita di Josefa, grazia ed invito che non possono lasciarci insensibili. Gli scritti di questa umile sorella coadiutrice, ignorante agli occhi del mondo, verranno indubbiamente letti e meditati da teologi e da maestri di vita spirituale. Come già per S. Teresa del Bambino Gesù, si pubblicheranno numerose opere per commentarne la profonda dottrina e scoprirne i segreti d'amore. Ma ciò che è meglio, innumerevoli grazie di conversione e di santità fioriranno dopo la lettura di queste pagine. Il mondo potrà meravigiiarsi che da un nulla, qual è la vita di Josefa, possano scaturire cose tanto grandi, ed è precisamente questo nulla la prova divina. In verità il Messaggio è firmato da mano divina: Digitus Dei est hic!

P. H. MONIER-VINARD S. J.
 
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