IL VENERABILE SERVO DI DIO MONSIGNOR ANTONIO FRANCO (prossimo Beato), Pubblicato su "L'OSSERVATORE ROMANO" nel 2003

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Il Servo di Dio Mons. Antonio Franco
Un grande Pastore della Chiesa post-tridentina
di Luigi Porsi (Postulatore) Roma, 15 gennaio 2003

(Pubblicato su “L’OSSERVATORE ROMANO” del 9 febbraio 2003

1rid

Appartengono all’unica santità della Chiesa tutti i fedeli che si sono distinti in santità e virtù in qualsiasi epoca sono vissuti. In questo senso non c’è distinzione tra “santi” antichi e “santi” moderni. Ve ne sono alcuni, catalogati abitualmente come “antichi”, solo perchè vissuti in tempi e contesti sociali, politici, religiosi, culturali molto distanti e diversi dai nostri. Ma in realtà sono “santi” e basta, sono cioè portatori di una straordinaria carica di grazia e di virtù, che brillarono di vivida luce nel tempo della loro esistenza terrena, ed il cui bagliore perdura ancora ai nostri giorni.
Soprattutto in tema di santità e di virtù trova piena applicazione l’immagine del Signore Gesù, che paragona la sua chiesa ad uno scrigno, dal quale il padre di famiglia sa tirar fuori “nova et vetera” (Mt 13, 52).
Non ha senso pertanto considerare come <<trapassati>> o <<relegati>> nella sfera dei tempi <<andati>> certe figure di uomini, che nei secoli scorsi hanno dato una luminosa testimonianza di vita evangelica. Come ogni generazione umana dà il suo contributo all’intera umanità, così ogni “santo” lascia un patrimonio di santità, che arricchisce l’intera cattolicità.
Una di queste figure di “santi”, vissuti a cavallo della fine del 1500 e i primi decenni del 1600, è il Servo di Dio Antonio Franco, chiamato ancora oggi <<beato>> in tessa sicula. Egli, come inducono ad affermare le fonti documentali-storiche e le biografie, si presenta con tutti i crismi di una santità eccellente, che riscosse in vita, in morte, e dopo morte l’ammirazione e gli elogi più ampi e sinceri sulla sua straordinaria santità di vita e sulla densa scia di fatti miracolosi.

Notizie biografiche

Antonio Franco nacque a Napoli dai coniugi aristocratici e benestanti Orlando Franco e Anna pisano il 26 settembre 1585 e fu battezzato tre giorni dopo nella chiesa della sua parrocchia di S. Angelo e Segno, seggio di Montagna. Fu il terzogenito, e da lui seguirono altri fratelli e sorelle, verso i quali si comportò come maestro nell’insegnamento nelle pratiche di pietà e guida nella vita cristiana, precedendoli con l’esempio personale. Notizie raccolte nell’ambiente di famiglia informano che già nell’infanzia e nell’adolescenza dimostrò una particolare sensibilità verso i poveri.
Ricevette i primi rudimenti di cultura, di educazione e formazione umana e religiosa da suo padre, avvocato e letterato, che lo avviò precocemente agli studi superiori ed universitari. Si laureò brillantemente, con dispensa dall’età, in Utroque Jure nell’Università di Napoli a soli diciassette anni nell’ottobre 1602, e fu ammesso all’Almo Collegio dei Dottori.
Già mentre attendeva agli studi, sentì la vocazione ecclesiastica, vestì l’abito clericale menando una condotta ritirata e pia, come attestano persone che lo avevano conosciuto ed apprezzato. Non seguì pertanto la carriera dell’avvocatura, che pure gli sarebbe stato agevole abbracciare e seguire con profitto e vantaggiose prospettive, sulla scia e protezione di suo padre Orlando, e di suo nonno materno, Giovanni Antonio Pisano, una delle personalità più colte e più in vista del Foro di Napoli, che era anche barone di Pescarola di Caivano in Diocesi di Aversa.
Sui vent’anni, su suggerimento di suo padre, dimorò per circa un anno a Roma, ospitato non si sa se in qualche collegio o convitto ecclesiastico o presso qualche famiglia privata. Nella città eterna <era da tutti tenuto per gran huomo buono>, come informa suo fratello Cesare.
Nella primavera del 1607, in età di ventidue anni, in rispondenza al desiderio del padre, si trasferì in Spagna a Madrid per chiedere al Re Filippo III un posto tra i suoi cappellani di Corte. Al fine di ottenere questa nomina, nel frattempo ricevette gli Ordini Sacri. Un documento degli archivi della Curia di Aversa fa fede che il 31 marzo dell’anno 1608 fu nominato Cappellano della cappella di S. Giovanni Battista di Pescarola di Caivano nella Diocesi di Aversa. Con ogni probabilità questo beneficio rappresentò il patrimonio sacro per ricevere il Suddiaconato, che verosimilmente gli fù conferito dell’Arcivescovo di Aversa, il Cardinale Filippo Spinelli. Ma non si è riusciti a sapere dove, quando e da chi abbia ricevuto i successivi Ordini Sacri, presbiterato compreso, che però dovette aver ricevuto prima del mese di giugno dell’anno 1610, come risulta di una lettera di Antonio Franco stesso scritta in quella data alla Segreteria del Re Filippo III.
Fu nominato cappellano reale il 14 gennaio 1611, quando contava venticinque anni e quattro mesi. Da documenti risulta che egli fosse molto fedele ai suoi doveri di cappellano, e che fosse di esempio ai colleghi, mentre lo stesso Re pare ne avesse grande stima. Lo dimostra il fatto che, dopo circa sette anni di lodevole servizio in Corte, il Re in data 12 novembre 1616, lo designò e presentò, in forza del Giuspatronato, a Papa Paolo V come Cappellano Maggiore del Regno di Sicilia, al cui ufficio era connesso anche quello di Abate e Prelato ordinario della Prelatura Nullius di S. Lucia del Mela, in provincia di Messina. L’11 febbraio 1917 seguì la nomina effettiva a Prelato ordinario da parte del Papa Paolo V.
Venne così a Roma per sostenere gli esami previsti dalla Congregazione romana a ciò preposta per Vescovi e Prelati, e per privilegi episcopali, come l’uso dell’anello, della mitra e del pastorale, che gli furono concessi.
Il 18 maggio 1617, dopo aver preso possesso per procura della Prelatura di S. Lucia, vi fece l’ingresso solenne, dando così inizio al suo ministero prelatizio, che sarebbe durato circa nove anni, fino al due settembre dell’anno 1626, quando santamente morì.

Ministero prelatizio a S. Lucia

La Prelatura, che era molto ragguardevole per i privilegi secolari di cui godeva sin dal tempo del Re Ruggero, che l’aveva scelta come sua dimora privilegiata, aveva una estensione geografica piuttosto limitata, comprendeva soltanto sei terre o paesi, ed i suoi abitanti non raggiungevano i diecimila. Dal punto di vista ecclesiastico-giuridico era immediatamente soggetta alla S. Sede, ed era quindi autonoma nei confronti delle Diocesi vicine: Messina, Patti, Reggio Calabria. L’Abate e Prelato aveva un posto di tutto rispetto nel Parlamento con sede a Palermo; occupava infatti il primo seggio dopo i Vescovi, e prima di tutti gli altri abati. Aveva inoltre il privilegio di presenziare a tutte le cerimonie, in cui intervenisse il Vicerè.
Sarebbe lungo soffermarsi a descrivere il contesto sociale, politico, religioso, culturale della popolazione della Prelatura. Essa era costituita in massima parte da contadini, pastori e braccianti, per lo più analfabeti; gente povera, quindi, bisognosa di aiuti di ogni genere. Oggi si direbbe che era una società da terzo mondo. Non mancavano però i signori (marchesi, duchi, baroni), che normalmente dominavano sui poveri e in qualche caso li sfruttavano pure. Il Servo di Dio si trovò, dunque, a svolgere il suo ministero di pastore premuroso e ad un tempo forte, che sapesse risollevare il tono umano, morale e religioso dei fedeli.
E Mons. Franco fu il pastore ideale. Le fonti documentali e biografiche consentono di valutare l’alta sua statura umana, morale, spirituale. Si può dire che Monsignor Franco sia stato uno dei Pastori più ragguardevoli e più prestigiosi fra quanti si distinsero nei decenni immediatamente dopo il Concilio di Trento. Risulta all’evidenza che egli si fosse proposto di seguire le orme di S. Carlo Borromeo, Arcivescovo-Cardinale di Milano, da poco Beatificato (1610) quando Monsignor Franco divenne prelato di S. Lucia. Prova ne è il fatto che volle celebrale i Sinodi annuali proprio il giorno della sia festa, 4 novembre. E nei Sinodi e in tante altre norme dispensate per la vita cristiana dei fedeli, si scorge chiaramente come egli avesse preso dal Borromeo spunti ed esempi da seguire per la sua vita di pastore e per il bene del suo gregge.
Di Monsignor Franco tanti documenti e le prime biografie mettono in evidenza la molteplice, intensa, premurosissima carità verso i poveri, gli infermi, i moribondi, i deboli, dei quali ultimi prese le difese contro i soprusi dei signori. Parimenti mettono in risalto la minuziosa, insistente, capillare, organizzata attività evangelizzatrice. Massimo fu il suo impegno per una efficace catechesi a tutte le categorie di persone: fanciulli, sposi, genitori, soprattutto in preparazione alla ricezione dei sacramenti. Negli atti sinodali si trovano di quando in quando delle vere e proprie formule catechistiche, che i sacerdoti dovevano far recitare ai fedeli prima di amministrare i sacramenti. Non tollerava in nessun modo l’ignoranza delle verità fondamentali della fede.
Massimo fu anche l’impegno messo dal Servo di Dio nella regolazione della sfera morale del suo popolo. Combatté fortemente l’usura e gli usurai, contro cui emanò più di un rigoroso editto. Avversò anche la bestemmia. Fu particolarmente esigente e rigoroso nella santificazione della festa e del riposo festivo. Ovviamente fu anche molto severo nel reprimere gli scandali di tipo sessuale: adulterio, unioni illecite, violazione della dignità delle donne, soprattutto delle ragazze.
In forza del cosiddetto “mero e misto impero”, che autorizzava ed obbligava il Prelato a regolare, correggere, punire non solo come pastore ma anche come legislatore civile – cosa per l’odierna mentalità insospettabile e non comprensibile – intervenne spesso anche in materia di giustizia, di criminalità, di condanne o assoluzioni per delitti commessi. E qui si rivelò dotato di grande equilibrio e senso di equanimità. Fu più incline alla comprensione ed alla misericordia che non al rigore della giustizia e delle pene. Diversi documenti riguardano appunto non pochi casi di richiesta di mitigazione di pene inflitte dal suo tribunale. Non pochi i casi documentati di liberazione dal carcere o da domicilio coatto. Bastava che un condannato chiedesse di essere reso libero per poter accostarsi ai sacramenti e frequentare la chiesa, che il cuore di Monsignor Franco si apriva alla indulgenza e al condono.
Curò con premure speciali la disciplina e la spiritualità del suo clero, che era molto numeroso. Fu costante nell’esigere un servizio sollecito e dignitoso ai fedeli. Voleva che fossero molto accurati nell’amministrazione dei sacramenti, nel tenere in ordine le chiese, gli arredi sacri, nell’amministrare i battesimi, i matrimoni, i funerali. Innumerevoli sono le disposizioni date al riguardo nelle tante visite fatte alle parrocchie in forma canonica o privata.
Si prese cura anche dei chierici, che aspiravano al sacerdozio. Non avendo un seminario, si impegnò a dare lui stesso ai chierici desiderosi una istruzione e formazione nel suo palazzo episcopale.
Un biografo riferisce che alla sua morte Mons. Antonio Franco <<lasciò in S. Lucia un clero si settanta presbiteri secolari, e di ottanta chierici>>, senza contare i religiosi: fatto notevolissimo per una piccola Diocesi come S. Lucia del Mela.
Ebbe molto a cuore anche i religiosi presenti nella Prelatura: Francescani, Conventuali, Cappuccini, e le monache benedettine, che visitava spesso ed istruiva con le sue conferenze spirituali.
Un sacerdote anonimo, nativo di S. Lucia, per esprimere l’efficacia ed il frutto dell’azione pastorale di Monsignor Franco arriva a dire che, durante il suo governo, la Prelatura si era trasformata in una sorta di oasi cristiana: “Oh si, mia patria fedele – scrive, anci esclama l’ammirato anonimo – ti puoi vantare da vera deliziosa se meritaste vivere rigata con l’acque chiare di un Nilo di perfezioni; fosti in quell’età l’invidia dei tuoi costumi addottrinati nella fucina del cielo […] in quell’età ammiravano i forestieri la modestia dei tuoi sacerdoti, l’andamento quieto dei giovani, la prudenza dei vecchi, la schiettezza dei putti, e la magnifica unione dei popoli; era infine questa deliziosa mia patria un terrestre paradiso irrigato con limpide acque della dottrina di questo Franco”.
Non sorprende pertanto che il ricordo e l’ammirazione del suo ministero di Pastore sono ancora oggi molto vivi tra la odierna popolazione della ex Prelatura.

Virtù e santità

Il segreto della fruttuosa. Penetrante attività pastorale di Mons. Antonio Franco sta tutto e solo nella sua santità. Così fanno ritenere la documentazione storica e le biografie. Conviene perciò accennare ad alcune delle sue virtù più caratteristiche.
Il Servo di Dio fu anzitutto uomo di grande preghiera sia orale sia mentale o contemplativa. Ore ed ore era impegnato nel colloquio con Dio, soprattutto il mattino e la sera. Trascorreva lungo tempo in adorazione davanti all’Eucaristia, e nel celebrare la S. Messa pare che talvolta andasse in estasi. Frequentemente si recava a piedi a visitare ora l’una ora l’altra chiesa della Prelatura, soprattutto quella dove era conservata la bellissima statua della Madonna della neve di Antonello Gagini (1529) che contemplava lungamente estatico in una chiesetta di c.da S.Giuseppe, ora trasferita nella chiesa del Castello.
Fu anche un grande penitente. Oltre i prolungati digiuni in tempo di Avvento e di Quaresima,usava molte altre mortificazioni, compreso il cilizio, che è stato conservato con grande devozione e che oggi ancora, racchiuso in una cassetta con cristallo, i fedeli chiedono nelle malattie per ottenere guarigione o serenità nella sofferenza. Né si dispensò dalle penitenze, sebbene debole di costituzione ed afflitto anche da malattie, limitandosi soltanto ad attenuarle in obbedienza ai medici. Fu assai parco nell’alimentazione. Era solito riposare su un semplice pagliericcio sul nudo pavimento. Usava un abbigliamento prelatizio personale molto semplice, e donò volentieri la biancheria del palazzo abbaziale ai tanti poveri che vi accorrevano e, talvolta, si spogliò perfino dei suoi indumenti personali. Ancora oggi viene ricordato con ammirazione il fatto che un giorno, percorrendo una strada quasi deserta nei pressi di Gualtieri, si tolse i pantaloni e li donò ad un povero. Altra volta, visitando i ricoverati di un ospedale cittadino, si piegò verso un malato cancrenoso e gli baciò o leccò una piaga purulenta.
Queste sue virtù ebbero modo di essere particolarmente ammirate nell’ultima sua malattia e all’occasione della morte, che lo corse assai ben disposto e bramoso di ricongiungersi col Signore. Non fece, infatti, che ripetere con frequenza e con grande trasporto la frase dell’Apostolo Paolo: <<cupio dissolvi et esse cum Cristo>> (Fil 1, 23). Ricevette con grande pietà l’Olio degli infermi ed il Santo Viatico. Spirò placidamente il 12 settembre 1626 in età di quarantuno anni incompleti in grande odore di santità.

La fama di santità e di miracoli

Da quasi quattrocento anni il nome di Monsignor Antonio Franco è legato ad una serie innumerevole di asseriti miracoli di guarigione, di protezione, di aiuti di ogni genere, alcuni dei quali operati in vita. Per i fedeli di S. Lucia il <<beato>> Antonio Franco, come lo hanno chiamato da subito dopo la morte, è ancora oggi il protettore nato, il soccorritore in ogni angustia. Sembra quasi che sia esistito e duri anche al presente una sorta di legame inseparabile tra il Servo di Dio e il suo popolo. Il popolo è per Lui, e Lui è per il popolo.

La Causa di Beatificazione

Ovviamente, da subito dopo la morte è stata caldamente auspicata e fattivamente desiderata la beatificazione di Mons. Antonio Franco, e i tentativi di raggiungerla si sono ripetuti più volte nell’arco degli oltre tre secoli trascorsi. Sarebbe lungo soffermarsi a spiegare le ragioni di vario genere, che hanno finora ostacolato il raggiungimento della meta. Una sorta di congiure di evenienze storiche di varia natura, come: pestilenze, avvicendarsi di Prelati, mancanza di mezzi economici, non conoscenza delle leggi canoniche, imperizia, ecc., sono all’origine dell’eccessivo rallentamento e ritardo.
Finalmente, da circa quindici anni, con la costituzione dell’Inchiesta Diocesana di Messina, condotta su basi storiche e documentali, e in particolare nel corso di questi ultimi mesi di approfondito studio di tutta la vicenda personale della vita e della santità del Servo di Dio Antonio Franco, la prospettiva della sua tanto sperata beatificazione sembra essersi avvicinata di molto. Tanto più che accanto alla POSITIO HISTORICA che è in fase di avanzata preparazione, è disponibile un caso di presunto miracolo, su cui è stata costruita la relativa Inchiesta Diocesana super Miro.*
Con la beatificazione di questo eccellente Prelato sarà posto sul candelabro della Chiesa un modello di Pastore, che, se presenta dei lati comportamentali, giudicati non più facilmente imitabili nell’odierno contesto sociale e religioso, rimane tuttavia un esemplare eccezionale di Pastore degno di stare a fianco di grandi nomi di Vescovi già esaltati dalla Chiesa, primo fra tutti – si parva licet componete magnes – San Carlo Borromeo, del quale Mons. Antonio Franco volle essere fedele imitatore nella guida del gregge della sua nobile Prelatura.
La sua figura interessa non soltanto la Chiesa della ex Prelatura di Santa Lucia del Mela e l’intera Arcidiocesi di Napoli, che gli diede i natali, la Diocesi di Aversa, nella quale fù beneficiato, l’Arcidiocesi di Madrid, dove fu Cappellano reale, e infine anche la Diocesi di Roma, dove per un anno da giovane chierico, e per qualche mese anche da Prelato eletto, diede esempi di ammirata virtù.

*(miracolo riconosciuto dal Papa Benedetto XVI il 20 Dicembre 2012 )https://concristopietrevive.forumfree.it/?t=64370634

 
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